I sequel non sono mai semplici. Si portano dietro il peso del predecessore, le aspettative, la diffidenza dei lettori che non vogliono vedere stravolto un libro che hanno amato, ma al contempo esigono qualcosa di nuovo, fresco ed emozionante. Per Doctor Sleep
tutto questo è vero al massimo grado: il seguito di un autentico capolavoro dell’horror come Shining parte per definizione svantaggiato.

Dalla sua il libro vanta la maestria del grandissimo King, che si affina con il procedere degli anni e non accenna a stancare. I ritmi sono serrati, le descrizioni incisive, la capacità di delineare situazioni e rapporti complessi con poche, efficaci parole è immutata. L’autore sa come avvincere il suo pubblico e ci riesce dalla prima pagina fino all’ultima. La sensazione di ritrovare i protagonisti e i fantasmi di Shining è intrigante, curiosa.
Purtroppo delude la trama: non brillante -non quanto ci si aspetterebbe da King almeno- priva di grosse sorprese e dalla struttura forse troppo lineare. Scorre e non arriva mai ad annoiare, ma non raggiunge i livelli di adrenalina, anticipazione e suspance di molte altre opere del genere. Un peccato, ma non una sorpresa: quasi nessuna vicenda avrebbe potuto reggere il confronto con l’ambientazione superba e la terrorizzante morbosità dei corridoi deserti (deserti, siamo sicuri?) dell’Overlook Hotel.
Come lo stesso King ammette apertamente in una nota finale inoltre, in trent’anni le persone cambiano, anche lui. Proprio per questo la sua narrazione in Doctor Sleep ha perso quelle note dolorose, inquietanti e quasi disperate che caratterizzavano Shining.

Stephen King

Ma qualcos’altro invece ha guadagnato, qualcosa di meno vibrante e intenso, ma ben più introspettivo, completo e ricco. Lo vediamo dalla versione cresciuta di Daniel Torrance, ora trentenne, protagonista di questo nuovo capitolo. Il vero cuore dell’opera sta nel suo ritratto accurato, sfumato, profondo. Con lo scorrere delle pagine emerge via via un’anima complessa e per molti versi tormentata, isolata dai suoi poteri non comuni, ma anche estremamente simile a quella di tutti noi con i suoi desideri ed i suoi sogni, così umani e condivisibili. Le luci e le ombre ci raccontano un Danny ormai adulto, ma ancora capace di vedere “Tony”, il suo bambino interiore; un alcolista redento, che però non è un santo e continua a combattere la dipendenza fino all’epilogo; un giovane uomo che desidera la vita e lotta per costruirsene una, ma al contempo sa capire e accarezzare la morte, accompagnando nell’ultimo sonno i suoi “pazienti”.

Non mancano i ricordi, gli incubi, i parallelismi con la figura amata e odiata del padre. La completezza e l’organicità del personaggio lo rendono vivo, sono una grande espressione della maestria di scrittore di King. E’ nella figura di Dan che la vera eredità di Shining si manifesta e trova la sua dimensione. Le complesse dinamiche familiari dei Torrance, la metafora di prigionia, dipendenza e debolezze dell’alcolismo che tutto l’Overlook incarnava, la maledizione e l’immenso dono che la “luccicanza” rappresenta: tutto ritorna cresciuto e arricchito nella sua figura, che all’ultima pagina lasciamo con gratitudine ed una punta di dolce nostalgia.



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